Abbazia di San Nicolò – San Gemini (TR)
Cenni Storici
La Chiesa di San Nicolò, nel suo impianto, risale ai primissimi anni del secolo XI.
Gli storici locali ritengono che furono i Conti Rapizzoni Arnolfi, ad attendere nella prima metà del sec. XI, alla costruzione dell’Abbazia sul luogo di un antico cenobio nelle immediate vicinanze del centro storico, in una propaggine del colle conosciuto nel Medioevo con il nome di Arenaiolo e, poi, del Fico nero (collis de ficu nigra).
Secondo il Lubin, la chiesa di San Nicolò sarebbe stata fondata intorno all’anno 800 da San Geminus, il Santo confessore venuto dalla Siria, divenuto monaco benedettino e insediatosi presso un monastero già esistente fuori dalle mura più antiche della città.
Questa abbazia, ancorché abitata da monaci benedettini, fu dedicata al culto di San Nicola, Vescovo di Mira, il cui nome venne contratto in Nicolò.
Il più antico documento nel quale è citata l’abbazia è del 18 agosto 1036 con il quale il vescovo Dodone (di Narni) e suo fratello Giovenale unitamente alla loro madre Nonvolia qualificata come “ illustrissima femina” donavano molti beni a quella che essi definivano la “ecclesiam nostram” intitolata, oltre che a San Nicola (di Bari) a San Simone, a Santa Maria, alla Santa Croce e a Santa Agnese; e di essa si dice: «quae edificata est in loco qui dicitur ficus niger in colle de arenaiolo ad Sanctum Geminum».
Quanto alla sua intitolazione multipla non è un’eccezione, tutto ciò ricorre spesso anche per altre chiese, particolarmente benedettine.
Ad esempio la celebre abbazia di Sassovivo (Foligno) era dedicata alla Santa Croce, a Santa Maria, alla Santissima Trinità.
Verso la fine del sec. XI, l’allora Abate Carbone, il cui incarico è documentato dal 1094 al 1119, pensò di sottoporla alla protezione del monastero di Farfa, abdicando alla propria autonomia ma assicurando tranquillità e prosperità alla comunità, e fu questo Il periodo di massimo splendore dell’abbazia.
In questi anni, San Nicolò acquisì molti beni e proprietà nelle diocesi di Todi e di Narni, oltre che nella città di San Gemini e nel suo contado.
Il monastero fu devastato per ben due volte da Federico II, nel 1228 e ancora nel 1239.
In seguito alla distruzione di gran parte degli edifici, alla fine del secolo XIII il complesso monastico fu interamente ricostruito e la chiesa fu profondamente modificata.
Durante la ricostruzione subì importanti modifiche fra cui la trasformazione dell’abside da semicircolare in quadrata, realizzò uno spazio corale più ampio (una soluzione simile la ritroviamo nella non lontana abbazia dei SS. Fidenzio e Terenzio), vi fu pure un prolungamento della parte anteriore del vano e la costruzione della facciata e della torre campanaria, quest’ultima mai portata a compimento e terminata con un campanile a vela, troppo modesto per la massiccia e solida costruzione sottostante, la sola che resistette nel crollo di tutto il lato destro.
L’Abbazia prosperò ancora fino a tutto il XIV secolo.
Perduta la sua autonomia l’Abbazia si avviò a un rapido declino.
Verso la metà del XV secolo fu data in commenda ai Capitoli di S. Gregorio e San Pietro di Spoleto, ed ad essi definitivamente incorporata il 2 maggio 1531, fatto che ne segnò la fine.
Nel 1775, nel corso dei lavori di ampliamento della sagrestia, fu ritrovato il sarcofago contenente il corpo di san Nicolò, raffiguratovi in abiti monastici.
Dopo aver rinnovato e restaurato la chiesa dove furono sistemate le reliquie del santo, nel 1795 l’edificio fu di nuovo consacrato da Carlo Maria Fabi, vescovo di Amelia (1785-1798).
All’inizio dell’Ottocento, la chiesa di San Nicolò era ancora ufficiata, nonostante che l’edificio fosse in parte crollato.
Visto lo stato di degrado in cui versava l’intero complesso, nel 1910 il magnifico portale della chiesa fu asportato per timore che crollasse.
Smontato in tre pezzi, nel 1936 fu trasportato negli Stati Uniti con regolare permesso di esportazione a favore dell’antiquario americano Joseph Brummer ed ora è conservato nel Metropolitan Museum of Art and the Cloisters di New York; l’attuale è una copia fedelissima, eseguita dallo scultore Fernando Onori di Roma.
Soltanto nel 1965, grazie alla lungimiranza dell’allora proprietario avv. Alberto Violati, l’intero complesso architettonico ormai ridotto a rudere fu restaurato e restituito al culto.
Aspetto esterno
Nella parte superiore è stato riaperto un occhio di cui restavano poche tracce, e il campanile ha riavuto la sua antica campana, fatta fondere dall’Abate Leonardo nel 1314, che porta la data, il nome del committente e quello del fonditore, maestro Marco da Venezia, lo stesso che sembra avere eseguito la tazza in bronzo della fontana di Piazza Priora a Narni nel 1303:
ANN(o) MCCCXIII M(entem) S(anctam) S(pontaneam) H(onorem) D(e)O ET P(atriae) L(iberationem) M(a)G(iste)R MARCUS DE VENETIIS NOS FEC(it) T(em)P(o)R(e) DOP(n)I LEONARDI ABBATIS: ET T(em)P(o)R(e) IUCII DE FRACTA POTESTATIS: LAUDO DEU(m) SONITU POPULU(m) VOCO CONGREGO CLERU(m): DEFUNTOS PLORO EGN(em) STINGO GRA(n)DINEM OO.ç.FUGO.
Il portale
Poggia su due leoncini accosciati che sembrano sproporzionati a sostenere il pesante sviluppo sovrastante; per cui probabilmente non ha visto male l’americano William H. Forsyth che li ha ritenuti più antichi e provenienti da altro edificio (la facciata precedente?); ambedue furono ricavati da due cippi carsulani, quello di sinistra con la iscrizione frammentaria:
T.FLAVIO T.F / Q. EGNAT. AUG /EX.AERE CON./DECUR.ET.AUG/ET.PLEBIS URB./ OB.CVIVS DIDI /EGNATIA.CC./MATER/EPVLVM TIRRIT.
Quello di destra con poche lettere che non consentono alcuna integrazione.
Altro frammento romano riadoperato era l’architrave, sul cui rovescio figurava altra epigrafe romana che menzionava un Laberius, membro di una nota famiglia carsulana.
Frammenti decorativi romani riadoperati figuravano pare sul rovescio della soglia e, dello stesso tipo, su alcuni conci della lunetta.
La decorazione romanica dei piedritti e dell’architrave è notevolmente asimmetrica, caso non insolito nella plastica del tempo, soprattutto derivata dalla collaborazione di due artisti, diversi per gusto e per abilità.
Ad uno appartiene lo stupendo stipite sinistro, ornato da girali di acanto armoniosamente plastici e in perfetta sintonia con la corrente neoclassica operante tra Spoleto, Narni e Bevagna; all’altro, lo stipite destro e l’architrave, in cui troviamo associati motivi di ispirazione classica quali le losanghe con rosette con altri di chiara derivazione barbarica, in uno svolgimento più trito, più impacciato, meno plastico e meno regolare.
Nei bassorilievi del primo lapicida ritroviamo la scenetta di caccia in basso, il personaggio seduto, l’angelo in volo, gli animaletti, quasi perduti tra la flora rigogliosa della equilibrata decorazione, mentre nell’architrave dell’altro, i cervi, il pavone, le rosette calanti si accentuano tra le foglie finte ricamate dal trapano.
Interno
L’interno, a tre navate, è diviso da colonne intramezzate da pilastri, con capitelli decorati, di diverso gusto e provenienza; il primo a sinistra, figurato, è in tutto simile a quello utilizzato come acquasantiera nella chiesa di S. Maria « de fori » a Cesi, e denuncia l’identica provenienza dalle rovine di Carsulae.
Le pareti furono ornate di affreschi, di cui ancora nel 1936 restavano diverse tracce, specie presso la porta d’ingresso.
Oggi non v’è che la sbiadita Madonna col Bambino in trono, nella parete absidale, opera di Ruggero da Todi, del 1295, come ricorda in basso una consunta iscrizione:
FACTEBONI.FECIT.F(ier)I.HOC.OP(us).A MAG(ist)RO.ROGETIO.TUTERTINO/I(n).NO(m)I(n)E.D(omi)NI.AM(en) AN(n)I.D(omi)NI.MCCLXXXXV.T(em)P(o)R(e).BONIF(acii).P(a)P(e).VIII.M(en)[s(e)].IULII.[D(omi)N(us).FRA(n)CISICUS.IUD]E[X].FILIUS.IACOBONI;
opera ispirata dalle Maestà di Duccio e di Cimabue; di fronte, l’immagine di San Gregorio Magno, probabilmente dello stesso pittore o della stessa bottega.
Presso l’ingresso, sul primo pilastro a sinistra un evanescente residuo di Madonna col Bambino.
Nella navata destra sono stati recentemente raccolti diversi frammenti di marmi romani e medievali, di cui purtroppo non si conosce la provenienza.
Fra i pezzi più notevoli, citiamo: un capitello corinzio da lesena; due frammenti di cornicione sostenuti da mensole e ornati di rosette, ovuli, motivi floreali; due frammenti altomedievali, forse di ciborio, dell’VIII o IX secolo; un grande leone che atterra un ariete, scultura simbolica che ritroviamo sulle facciate di alcuni palazzi comunali umbri (vedi Spello e Montefalco, ambedue datate 1270), da cui questa si discosta per una maggiore monumentalità e un maggiore verismo.
Sul fianco sinistro della chiesa, una grande porta architravata con gli stemmi consunti di Innocenzo VIII e del cardinale commendatario Giovanni Michiel (+1503), immetteva nella casa abbaziale, oggi in gran parte ricostruita sulle tracce antiche.
Bibliografia
http://www.sangeminiarte.it/
https://benedettatintillini.wordpress.com/
http://www.sangemini.eu/
http://www.umbria.ws/
Silvestro Nessi Sandro Ceccaroni Da Spoleto a Sangemini attraverso le Terre Arnolfe
S,Nessi –Abbazia di San Nicolò attraverso i secoli – Atti del convegno del 9 giugno 2007-Pubblicazione a 40 anni dal restauro
F.Guarino A. Melelli – Abbazie benedettine in Umbria – Quattroemme 2008
Nota
Parte della galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini
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